Sara Chiessi della biblioteca di San Giorgio di Piano consiglia Il ritmo di Harlem di Colson Whitehead

Per come la vedeva lui, la vita ti insegnava che non dovevi per forza vivere come ti avevano insegnato a vivere. Venivi da un posto, ma la cosa più importante era dove decidevi di andare.

Colson Whitehead ha vinto due volte il premio Pulitzer, uno dei più prestigiosi premi letterari del mondo. La prima nel 2017 con La ferrovia sotterranea e la seconda nel 2020 con I ragazzi della Nickel, che raccontano e approfondiscono episodi e momenti fondamentali della storia del razzismo negli Stati Uniti.

In questo romanzo la sua scrittura si fa un po’ più leggera e racconta la storia di Ray Carney, commerciante di mobili e oggetti di seconda mano, e del quartiere in cui è nato, in cui ha il suo negozio, e attorno a cui ruota la sua intera esistenza.

Il ritmo di Harlem infatti è il primo volume di una trilogia (di cui è uscito quest’anno il secondo volume, Manifesto criminale) che racconta uno spaccato di Harlem attraverso gli anni - dal 1959 al 1964 nel primo libro, dal 1971 al 1976 nel secondo - attraverso gli occhi e le vicende del suo protagonista.

Non di rado Ray affianca alla sua attività onesta e ufficiale anche un’attività criminale, dal momento che si presta a fare da ricettatore per piccoli furti, soprattutto quelli compiuti dal cugino fraterno Freddie, tossicodipendente e sempre nei guai.

Quando però il cugino lo coinvolge in un furto più grande, Ray non può tirarsi indietro (anche se vorrebbe) e da quel momento tutta la sua vita e i suoi affari si alternano tra rispettabilità e crimine, simboleggiati rispettivamente dalla vetrina del negozio che dà sulla strada e dalla porta sul retro del suo ufficio.

Man mano che la sua attività onesta si ingrandisce, prospera sempre più anche quella disonesta, e al contempo si fa sempre più pericolosa. E se dal canto suo Ray sarebbe una persona relativamente prudente, lo scapestrato Freddie lo trascina continuamente in affari più grossi e pericolosi di quello che lui vorrebbe.

Quello di Ray è un viavai continuo per Harlem: con il poliziotto corrotto che si fa accompagnare nella sua ronda, con il vecchio socio del padre alla ricerca del cugino, tra le strade “bene” di uptown sognando una scalata sociale e architettando una vendetta nei confronti di un banchiere disonesto che lo ha umiliato e truffato. Ad Harlem tutto è e insieme non è quello che sembra: bisogna imparare a capire, a leggere le persone, conoscere i locali, le connessioni, i punti deboli, le porte sul retro, il presente e il passato.

Quello che mi è piaciuto del libro è proprio il ritmo del titolo, e che in effetti è forse la caratteristica che salta più all’occhio della scrittura: un continuo via vai in cui è inevitabile lasciarsi trascinare, e che ti accompagna per tutta la trama.

Inoltre racconta uno spaccato di storia americana da una prospettiva che per me era inedita: il poco di Harlem che conosco l’ho visto in qualche film di Spike Lee e poco altro, in ogni caso ambientati non prima degli anni Novanta, mentre in questo romanzo il quartiere newyorkese è colto in un momento di profondo fermento e cambiamento: non a caso alla fine Ray si ferma a guardare un isolato raso al suolo e in cui stanno già crescendo nuovi palazzi. È Harlem che rinasce sulle sue macerie, sempre diversa ma anche sempre uguale a se stessa.

Lo consiglio a chi ama New York, la cultura afroamericana, la storia americana. E a chi ama le storie in cui si gratta la superficie scintillante per mostrare la vera faccia - spesso corrotta - delle cose.

Il ritmo di Harlem
Colson Whitehead
Mondadori, 2021

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Narrativa, Harlem, crimine, New York

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