I deboli si sentono sempre forti, quando vedono gli altri soffrire. Il crollo di un altro essere umano fa leva sull'oppressore che è in ognuno di noi.

Chiara della biblioteca di Castenaso consiglia Nessun amico se non le montagne: prigioniero nell'isola di Manus di Behrouz Boochani.

In questo reportage narrativo autobiografico, Boochani racconta gli anni passati nel centro di detenzione per migranti di Manus, in Papua Nuova Guinea, a causa delle politiche di respingimento dei richiedenti asilo dell’Australia. Fuggito dal Kurdistan nel 2013, ha tentato la traversata dell’oceano Pacifico per raggiungere l’Australia e chiedere asilo politico. Ma pochi giorni dopo il suo arrivo, è entrato in vigore un accordo tra il governo australiano e quello della Papua Nuova Guinea in base al quale tutti i richiedenti asilo (famiglie e minori compresi) venivano rinchiusi nel centro di detenzione di Manus, in un'isola nell'oceano Pacifico a due ore di volo dall'Australia.

Mi ha colpito la straordinaria lucidità dell'autore, che in un contesto di estrema privazione, fisica e morale, è riuscito a conservare una presenza di spirito tale da analizzare, pensare, riflettere.

Mentre gli altri detenuti intorno a lui, nient'altro che "pezzi di carne" gettati in una terra sconosciuta, si lasciano andare diventando fantasmi inermi o esplodendo in atti di follia, lui osserva, pensa, scrive.

Questo non è solo un libro testimonianza che racconta la vita giorno per giorno in un carcere. O uno dei tanti che raccontano l'esperienza migratoria. È molto di più perché Boochani è uno scrittore e un poeta e sa cogliere gli aspetti più profondi di quello che accade intorno a lui. L'autore vede il sistema che c'è dietro il campo, vede l'organizzazione e ne coglie la filosofia: togliere ai detenuti anche l'ultimo briciolo di umanità, renderli simili a bestie, per poi mostrarli ai benpensanti e guadagnarsi i voti alle elezioni politiche. Tutto il libro è ricco di riflessioni che hanno valore universale, che riguardano l'umanità intera.

Tante sono le cose che non si possono dimenticare: le rivolte dei prigionieri, sedate nel sangue; l'organizzazione del centro, fatta di regolamenti assurdi pensati volutamente per sfiancare la psiche dei prigionieri. La distribuzione dei pasti, ad esempio, prevede che i detenuti si mettano in fila in piedi per ore e, per il divertimento delle guardie, entrano in competizione per un piatto di minestra.

Colpisce anche l'odio dell'autore verso figure che apparentemente dovrebbero essere di aiuto ai migranti: i giornalisti invadenti, pronti a fotografare lo spettacolo di esseri umani nel momento di maggior degrado, appena sbarcati dopo giorni senza acqua né cibo. Boochani ricorda un fotografo che sembrava non aspettare altro che di vederlo, "impotente e fragile", per incutere paura nelle persone perbene. Stesso discorso vale per il team di medici che ogni tanto arriva sull'isola: sempre sorridenti ma con sguardo sprezzante, sempre a sminuire la dignità dei prigionieri.

Questa è una vicenda incredibile che tutti dovrebbero leggere almeno una volta. Le parole di Bouchani mi hanno fatto pensare al silenzio assordante che c'è sui centri di detenzioni per migranti anche nella nostra “civilissima” Europa.

Un libro che merita di essere letto, discusso, portato all'attenzione generale.

Nessun amico se non le montagne: prigioniero nell'isola di Manus
Behrouz Boochani
Add, 2023

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Narrativa, prigionia

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